lunedì 27 dicembre 2010

Ma perché il patriziato di Salerno?


Per capirlo bisogna rifarsi un po’ alla storia dei tempi più antichi della nobiltà civica del Regno di Napoli.

Nel XVIII secolo la nobiltà assieme alla borghesia civile, deteneva il potere amministrativo della città, però le prerogative riguardanti l'esercizio di pubblici uffici, di attività legislative o di iniziative economiche erano privilegio esclusivo delle classi nobiliari; pertanto vi furono molte pressioni su questi ultimi affinché la nuova borghesia mercantile, acquistando titoli nobiliari, potesse affiancarsi ad essi nell'esercizio di queste funzioni. La nobiltà reagì di fronte a questo stato di cose con l'istituzione "Registro delle piazze chiuse", (detto così per l'antichissima usanza di alcune famiglie di riunirsi nelle piazze per legiferare) ossia un registro nel quale potevano iscriversi solo le famiglie nobili di una certa tradizione e importanza.

Così fecero anche i due fratelli Martinelli, Vito Giuseppe (1758-1833) e Francesco Paolo (1755-1818), e poiché la nobiltà monopolitana poco contava rispetto a quelle più importanti della nobiltà salernitana, ottennero l'aggregazione al "Registro delle piazze chiuse" del patriziato di Salerno.

La casata fu fedelissima al governo borbonico di Ferdinando IV, il quale per evitare abusi e iscrizioni irregolari istituì il "Supremo Tribunale Conservatore della Nobiltà del Regno" che doveva verificare e portare ordine nei riconoscimenti nobiliari.

Da questo momento i due Martinelli sopra citati divengono Guardie del Corpo a Cavallo, non prima però di aver dato prova di nobiltà facendo parte dell'Ordine dei Cavalieri di S. Giovanni in Gerusalemme. Ricevono pertanto dal sovrano borbonico uno stemma raffigurante uno scudo ..."d'argento, al lambello di tre pendenti di rosso, sostenente una fenice posta, nella sua immortalità, al naturale, fissante un sole d'oro, posto nel canton destro del capo, e accompagnato in punta da due spade in croce di S. Andrea (simbolo dei Cavalieri di Malta).

Salerno, Tropea, Bari, Sorrento, Trani e naturalmente Napoli erano considerate da tempi antichissimi sedi di vero patriziato costituito da un certo numero di famiglie che, separato dal resto della popolazione, costituiva un “corpo” a sé stante con privilegi e diritti tutti propri. Queste famiglie, non feudali, si ritennero sempre le eredi ideali dei patrizi romani ed esercitarono, osteggiate dai dominatori di turno, una sorta di potere nella pubblica amministrazione.

Le città che abbiamo nominato (ed altre che in seguito furono riconosciute anch’esse sedi di patriziato: Amalfi, L’Aquila, Lucera, Amantea, Aversa, Cosenza, Benevento, Pozzuoli, Sulmona, Giovinazzo) furono chiamate di “Piazza chiusa” dall’antichissima usanza di alcune famiglie di quelle di riunirsi in luoghi aperti, cioè piazze, dette pure seggi o sedili, per legiferare.

Detto patriziato, oltre ad esercitare quel potere di cui abbiamo parlato, poteva deliberare, senza la presenza del regio rappresentante, aggregazioni, reintegrazioni e iscrizioni di nuovi casati con il diritto alla regia ratifica dei propri atti. Da tanto discendeva la impossibilità di ottenere l’aggregazione, la reintegrazione o la iscrizione a detto patriziato senza il consenso dello stesso.

Le grandi famiglie feudali che si erano orgogliosamente mantenute distanti dalle sopradette città e dai pubblici affari di esse, allorché, compresero che l’unica maniera per partecipare alla pubblica amministrazione era quella di avere l’aggregazione o la iscrizione al patriziato di quelle città, si affrettarono per ottenerla.

Cosi, ad esempio, a Napoli vediamo le case feudali dei Gaetani, Acquaviva, del Balzo, Colonna, Orsini, Ribera, Gonzaga, Sanseverino, ecc…. aggregarsi una dopo l’altra ai seggi della città.

V’era pure la “semplice nobiltà” che insieme al patriziato costituiva l’intero “corpo” della nobiltà del Regno di Napoli.

E come v’erano le città di “Piazza chiusa”, così vi furono città di “semplice ma vera separazione” dal resto della popolazione: Taranto, Taverna, Lettere, Gaeta, Crotone, Capua, Ravello, Penne, Scala, Nola, Barletta, Bitonto e Monopoli.

Ferdinando IV che dovette indubbiamente assistere ad abusi e ad iscrizioni irregolari, ma soprattutto per accentrare ancora di più il potere nelle proprie mani, abolì i sedili e istituì il “Supremo Tribunale Conservatore della Nobiltà del Regno”; e scopo di tale Tribunale fu quello di riportare ordine nel campo dei riconoscimenti di nobiltà.

Così il “Libro d’Oro della Nobiltà Napoletana” accolse i nomi delle casate iscritte agli aboliti sedili della città di Napoli e ad esso il sovrano si riservava il diritto di aggregare i soggetti più benemeriti di famiglie di antichissima nobiltà.

Erano affiancati: un registro delle famiglie feudatarie da almeno 200 anni; uno delle famiglie accolte per giustizia nell’Ordine di Malta ed infine in registro di tutti i nobili iscritti agli aboliti sedili delle città del regno che formavano nobiltà.

1 commento:

  1. Gentilissimo Ingegnere Martinelli,sono Domenico Martinelli, nato a Napoli, Residente a Padova e domiciliato a Roma.
    Ho molto apprezzato il Suo studio sulla Nostra Casata e Le sarei molto grato se volesse fornirmi un Suo recapito od un Suo indirizzo e-mail, poiché vorrei poter integrare l'albero genealogico della Famiglia. In particolare, nella mia famiglia ci sono molti ex-allievi della Nunziatella (mio Zio Pasquale e mio padre Mario). Mio nonno Domenico era un Generale di Fanteria del Regio Esercito e mio padre, attualmente in servizio a Padova, è un generale medico. Anche io sono in servizio e lavoro nelle vicinanze di Roma. Le sarei davvero grato se volesse contattarmi all'indirizzo: martinelli.domenico@gmail.com. Con l'occasione Le formulo i miei migliori auguri di buon 2011.

    RispondiElimina